Il termine “Pirateria” è in genere associato solo ad alcune forme di abuso della proprietà intellettuale collegate a un illecito sfruttamento commerciale. Ad esempio il laboratorio artigianale che confeziona borse con false firme alla moda o il duplicatore di CD rivenduti sul mercato nero senza bollino SIAE e senza aver pagato i diritti d’uso della registrazione. Oggi la pirateria diventa “informatica” e conosce nuove frontiere. Poiché ogni giorno mi ritrovo a discutere con diversi clienti di problematiche legate alla tutela del diritto d’autore, ho deciso di scrivere questo articolo allo scopo di sostenere quanto sia importante oggi fare, della tutela della proprietà intellettuale e del diritto d’autore, una questione culturale.
Vi sono almeno tre tipologie di pirateria informatica:
- Domestica (utenti finali);
- Underlicensing o violazione delle condizioni di licenza;
- Contraffazione via Internet.
1) Domestica
Gli spot prodotti nel tentativo di arginare il fenomeno, ad oggi, sono risultati inefficaci: non è servito puntare il dito e far sentire ciascuno di noi un “ladro”. Alzi la mano chi non ha mai avuto a che fare con un software craccato, un film duplicato o con un CD masterizzato. All’avvento del digitale, in un modo o nell’altro, siamo stati tutti “pirati”. E attualmente potremmo continuare ad esserlo se non prendessimo coscienza del grave danno che ogni tipo di pirateria arreca al mercato, soprattutto ai competitor più piccoli e di nicchia. Ora, non mi interessa in questo articolo guardare al singolo, al privato. E’ nel business che si celano i nuovi pirati.
2) Underlicensing
Con underlicensing si intende la violazione inconsapevole o, peggio, consapevole delle condizioni di licenza.
Underlicensing inconsapevole
Non è facile destreggiarsi nel contenuto di una licenza e molto spesso i clienti possono ritenere di essere coperti, quando al contrario ciò non avviene affatto.
I casi possono essere svariati:
– licenze in inglese generate automaticamente da un server;
– licenze generate in territori diversi dall’Italia e che quindi rispondono a leggi diverse;
– licenze che coprono solo una parte dei diritti (e tu pensi di essere a posto).
– L’azienda che sincronizza Lady Gaga, i Beatles o anche i brani di Production Music nella convention da 1 milione di Euro senza chiedere i diritti di sincronizzazione;
– L’azienda che scarica i brani dalle library di Production Music senza chiedere la licenza perché “tanto è a uso interno”;
– L’azienda che paga una determinata licenza, salvo poi farne altro uso non espressamente consentito dalla licenza originale.
Affidarsi a siti internet che generano automaticamente le licenze consentendo il pagamento con la carta di credito, a volte, può essere rischioso. I contratti di licenza così stipulati spesso sono in inglese e vengono generati o in territori che non aderiscono alle leggi internazionali sul diritto d’autore o in territori per i quali la legislazione è differente da quella italiana. Due esempi su tutti:
- Negli USA la siae americana (ASCAP) paga le Public Performance delle campagne pubblicitarie. In Italia la SIAE, al contrario, non le amministra. Scaricando brani a pochi dollari credi di avere tutti i diritti coperti, in realtà hai pagato solo il diritto di sincronizzazione.
- In Italia la siae ha il mandato per il multimediale dalla maggior parte degli autori ed editori. Ciò significa che per ogni contenuto pubblicato sul web deve essere pagato il diritto di “messa a disposizione” al pubblico. Con una licenza di sincronizzazione (che concede cioè la possibilità di abbinare una determinata musica a un video o a immagini in movimento) questo diritto è escluso e, di converso, la licenza multimediale siae non include il diritto di sincronizzazione.
In parole povere non è possibile sincronizzare i Queen al tuo video sul web e pensare di essere coperti semplicemente pagando alla siae la licenza multimediale. Analoghe considerazioni si estendono all’ambito degli “eventi” (anche “interni”) allorché si paga la licenza di Public Performance della SIAE e si pensa di essere coperti anche per tutti i video proiettati durante la convention aziendale.
Underlicensing consapevole
La consapevolezza diviene tale nel momento in cui si è perfettamente a conoscenza di quanto scritto sopra, e non si indugia nella pessima consuetudine di fare… “orecchie da mercante”.
Un esempio eclatante è l’emittente televisiva locale che “grabba” i brani delle library di Production Music, senza chiedere la licenza perché “tanto non se ne accorgono” (da non credere, ma avviene!).
Di recente mi è capitato addirittura di assistere alla proiezione al cinema di uno spot nel quale in sovrimpressione compariva impunemente il logo di una banca dati video, segno che si trattava di una sequenza di immagini “demo” non concessa in licenza regolare. E’ difficile credere che sia stato fatto inconsapevolmente, ma altrettanto inquietante risulterebbe il pensare che ciò possa esser avvenuto in piena consapevolezza.
La lista si allunga se aggiungiamo azioni non esattamente di pirateria, ma che di sicuro sono contrarie alla tutela del diritto d’autore, come ad esempio la compilazione di Cue Sheet in modo errato o incompleto o la pubblicazione di bandi per la produzione di video nei quali si richiede espressamente di non utilizzare brani associati alla SIAE. Qualora questi bandi dovessero provenire dal settore pubblico, la limitazione della libera concorrenza (come ad esempio un invito ad utilizzare solo un determinato catalogo) configurerebbe peraltro un abuso di posizione dominante.
3) Contraffazione via Internet
La contraffazione consiste genericamente nella produzione e nella vendita di copie illecite dei prodotti, a volte imitandone confezionamento e packaging degli originali (confezioni, manuali, contratti di licenze, etc).
In ambito musicale avviene in due casi: il musicista che cede la propria opera con titoli diversi a editori diversi. Il content provider che, più o meno consapevolmente, rivende o utilizza i fonogrammi che dovrebbero essere liberi da diritti, ma che di fatto non lo sono.
Sono due facce della stessa medaglia: con il primo caso è probabile che avvenga il secondo.
Oggi i sistemi di detection digitale permettono tuttavia di rilevare le forma d’onda identiche: è l’algoritmo sul quale si basa Shazam, il noto programma di riconoscimento musicale. E’ così possibile per ogni editore / produttore fonografico avere un quadro preciso della distribuzione legale / illegale dei propri fonogrammi.
Suggerisco a tutti i musicisti di fare molta attenzione perché la validità delle licenze di sincronizzazione dipende anche dalla responsabilità delle proprie azioni: non cedete le vostre opere con titoli differenti a editori diversi!
A produttori ed editori il compito di dotarsi dei sistemi di rilevazione digitale dell’emesso o di detection sul web (fintanto che non lo farà la SIAE direttamente per tutti), allo scopo di contrastare con forza ogni forma di abuso consapevole o inconsapevole del diritto d’autore.
Conclusioni
E’ stato calcolato che agli editori, ogni anno, dovrebbe mancare in media circa il 40% del fatturato che si sarebbe generato grazie a un comportamento virtuoso da parte di tutti. E’ un danno gravissimo, specie per quelle strutture che proprio su questi introiti confidano per proseguire i propri investimenti in nuove attività creative.
Tutti, con le nostre azioni, quasi senza rendercene conto, rischiamo di contribuire alla diffusione di una cultura sbagliata che, nel pavoneggiarsi sull’abilità nell’esser riusciti ad aggirare le regole, crea un grave danno a tutto un comparto economico che, come emerso recentemente nella ricerca “Italia Creativa”, vale circa 47 miliardi di euro e offre lavoro quasi a 1 milione di persone.
Ricordate quindi: ogni volta che premierete un produttore attraverso l’acquisto legale o la richiesta di una licenza, gli consentirete di continuare ad offrirvi la creatività e la qualità che desiderate e che vi occorre, nei casi di utilizzi commerciali, per aggiungere valore ed efficacia alla vostra Comunicazione.
Andrea Thomas Gambetti – andrea @ preludio.it
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